Come migliorare la qualità dei terreni in viticoltura biologica

22/08/2020 di Carlo Capretta


“Cosa è successo?” chiesi al viticoltore, “La produttività dei miei terreni è calata drasticamente”, mi rispose pensieroso; “Eppure sono stato ineccepibile” continuò, “ho seguito alla perfezione il protocollo, e adesso mi è stata proposta una soluzione alternativa per migliorare la qualità delle mie terre, non so davvero cosa fare”.

Incuriosito domandai: “Quale soluzione stai pensando di adottare?”

“L’inerbimento, mi dicono che arricchisce il terreno con micro e macroelementi di origine naturale; che è la scelta più indicata per una produzione ecosostenibile e via dicendo”

“Ma ti hanno dato delle piante specifiche con cui iniziare?” chiesi dubbioso, “Si, ho un’intera lista” rispose prontamente “però non so esattamente perché usare proprio queste particolari piante e non altre” continuò, “non vorrei rischiare di applicare la procedura in modo scorretto e non sapere dove sbaglio”.

A questo punto del dialogo qualcosa non tornava, come poteva il nostro amico viticoltore non sapere perché facesse determinate scelte piuttosto che altre riguardo la sua terra?

“Scusami se chiedo”, dissi con una nota di curiosità nella voce “Ma su quali basi hai scelto le metodiche da applicare finora e quelle che applicherai in futuro?”

“Beh ragazzo, si vede che non sei del settore” disse con un chè di paterno nella voce il viticoltore “Si è sempre fatto così, in agricoltura ci si basa sull’esperienza”. 

“Si ma come si può dire che il terreno ha bisogno proprio di questi specifici nutrienti senza avere evidenze scientifiche, senza avere dei dati o senza monitorarlo durante l’anno?” 

Queste parole scossero il viticoltore, come se in qualche modo lui non avesse mai pensato ad una cosa così ovvia ai giorni nostri. 

“Beh sarai anche esterno al settore ragazzo, ma devo ammettere che sarebbe proprio una bella idea quella di monitorare le mie terre, in un certo senso potrei ascoltarle e capire più a fondo il perché di certe scelte, si sarebbe proprio bello!”

Sono sicuro che durante la lettura di questa storia avrete riflettuto sul fatto che a prescindere dalle metodiche utilizzate, potreste arrivare ad un punto nel quale il rendimento del vostro terreno cali drasticamente, ed è ciò che è successo al nostro viticoltore.

Ma adesso torniamo all’inerbimento. Questa procedura consiste nel rivestire il terreno occupato dalla coltura prncipale con una copertura erbacea, controllata tramite periodici sfalci e può essere totale o parziale, naturale o artificiale, permanente o temporanea.

Essa apporta diversi vantaggi sia al terreno che all’agricoltore, tra questi la capacità di contenere l’erosione e di aumentare l’attività biologica del suolo; porta inoltre ad un aumento del contenuto della sostanza organica, unitamente ad un miglioramento della struttura del terreno ed un risparmio economico notevole (vista la diminuzione della lavorazione artificiale e delle concimazioni).

Senza contare che favorisce un aumento della biodiversità, e permette  un maggior controllo della vigoria della piante (in quanto consente di ridurre le potature) avendo come conseguenza del suo utilizzo un minore ristagno idrico.

Tutti questi vantaggi si inseriscono bene in un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica, ma a fronte di tutti questi lati positivi quali sono però gli svantaggi che questa procedura porta con sé?

Essendo l’inerbimento un approccio che presuppone la compresenza di più colture, il primo, ovvio svantaggio, è la diminuzione delle rese nei primi anni di utilizzo, unitamente all’aumento del rischio di gelate (in alcune zone) e della concorrenza idrica e nutrizionale.

Possiamo concludere dicendo che l’inerbimento è una soluzione che migliora la fertilità del terreno ma necessita di un’attenta gestione soprattutto nei primi anni, in base anche alle necessità del caso in questione. Questo presuppone la conoscenza di dati specifici che grazie al monitoraggio del terreno potremo avere sempre a portata di mano.



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